MANIFATTURA GIUSTINIANI (2)

Via Marina nn 10-16 - Napoli

Fino al 1981 le conoscenze erano limitate alla generazione di ceramisti di tale cognome, attivi tra la fine del Sei ed i primi decenni del Settecento, per altro documentati proprio con la qualifica di Riggiolari. Costoro rispondevano ai nomi di Ignazio di Matteo Giustiniani (nato nel 1686 e autore del pavimento di Sant'Andrea delle Dame) e di Ascenzo e Domenico Antonio Giustiniani, di cui non si avevano dati anagrafici, ma attivi nella seconda metà del Seicento e che ebbe numerosa prole. Infine risultavano ancora Giuseppe e Carmine Giustiniani, anch'essi poco noti. Da recenti ricerche archivistiche sappiamo ora che Domenicantonio ed Ascenzio erano figli di un Ambrogio Giustiniani di Castelli, attivo a Vietri a partire dal 1665, quale pittore nella bottega di Carmine Cantarella. Nel 1666 è in società con Domenico Frezza di Vietri e gestiscono per cinque anni la bottega di Carlo Loffredo dove Ambrogio si impegna a pingere li vasi di dette faienza assieme ai figli Domenicantonio e Ascenzio. Ambrogio Giustiniani è ancora a Vietri nel 1669. Così a Napoli, a partire dagli ultimi decenni del secolo XVII, i Riggiolari Giustiniani sono una schiera: Matteo (nato intorno al 1666) con il figlio Ignazio (1686). Poi ancora un altro Matteo Giustiniani (1676) figlio di Ambrosio e infine il noto Antonio Giustiniani (1689), che si trasferisce nel 1706 al Cerreto Sannita e dal quale nasce nel 1736 Nicola Giustiniani (1736-1815), il famoso ceramista poi soprannominato "Belpensiero".

E' proprio Belpensiero che fonda a Napoli nei primi anni della seconda metà del XVIII secolo (1700) la più nota delle antiche manifatture napoletane. Nel 1820 si installò in Via Marina nn. 10-16. in un bel palazzo la cui facciata fu decorata con scene Egizie. Tra il 1820 e il 1840 Giustiniani contava alle sue dipendenze 60 maestri e 120 aiutanti. La Fabbrica ebbe in quel periodo veri e propri trionfi nelle esposizioni degli anni '30, il merito fu di "Biagio", nipote di Belpensiero, particolarmente propenso a temi di ispirazione archeologica. La Manifattura trattava 11 diversi prodotti, tra questi elenchiamo: "Mattoni lisci da lastricare le stanze e variamente colorati a guazzo, ovvero a smalto, fatti di argilla d'Ischia inverniciata come la maiolica".

I marchi Giustiniani sono parecchi: una semplice G impressa (1), Giustiniani in cartiglio ovale (2), due "GG" asimmetriche (3), M. Giustiniani in cartiglio tipo planta pedis (4), Giustiniani in cartiglio ovale con impresso anche il marchio GS (5), Giuseppe Giustiniani con due "GG" simmetriche (6). Sono della Manifattura Giustiniani le più belle riggiole con motivi a tema Archeologico, famosa la grande riproduzione del "Mosaico di Alessandro" che fu acquistata anche dal principe prussiano Federico Guglielmo IV. Stupendi anche i cestini di vimini del Settecento (leggi di Matilde Romito "SMALTI E COLORI DEL MEDITERRANEO"). Molte furono le acquisizioni di altre manifatture minori (come quella di Cherinto Del Vecchio) fino a quando la stessa Giustiniani fu assorbita dalla emergente Famiglia STINGO (leggi di Agostino Bossi "LE TERRECOTTE NELLA TRADIZIONE PARTENOPEA"). Per l'esattezza fu Pasquale Stingo (1796-1856), decoratore ceramista, che sposò una figlia di Biagio Giustiniani da cui nacque Giuseppe (circa 1827-1885) che sposò Aurelia di Matteo e che rilevò verso il 1860 le fornaci di proprietà della famiglia Giustiniani. A Giuseppe succedette il figlio Camillo (1856-1926) che incrementò la pristina produzione di mattonelle decorate con disegni abruzzesi ('a riggiola 'mpetenata) con suppellettili in terracotta: vasi da fiori, statuette o motivi decorativi per esterno della casa, e successivamente di uso domestico per le attività interne. In questo periodo, alla fine dell'800 la fabbrica Stingo, in fase di forte espansione, assorbì la ditta Barberio , già attiva nella zona da più di un secolo. Tale attività fu continuata ed ampliata dai figli Giuseppe, Gennaro ed Enrico che operarono tra il 1900 e il 1950 circa, sempre fruendo dai vecchi forni Giustiniani , di volta in volta ricostruiti nella loro struttura originaria nella sede di Via Marina; li nel quartiere che va dal Lavinaio al Borgoloreto, dal Ponte della Maddalena alla Marinella, si erano installate fina dal '600 gran parte della fabbriche di ceramiche, spingendosi oltre le mura e abbandonando la zona del Mercato dove si trovavano precedentemente. Il concentramento in quell'area si è protratto fino al secolo scorso, per la presenza di corsi d'acqua molto utili alla lavorazione della ceramica, e per la vicinanza al mare, utile al fine di ridurre le spese di trasporto. Notevoli in questo periodo gli interventi atti a ripristinare e conservare opere ceramiche in complessi quali San Severo alla Sanità, Il chiostro di Santa Chiara, il chiostro Gonzaga a San Martino, la pavimentazione della chiesa di Sant'Eligio, San Gregorio Armeno, la Cappella Pappacoda, la cupola della chiesa di San Marcellino, la rifazione, sua originale, del pronao della chiesa di Donnaregina. Dopo la seconda guerra mondiale gli Stingo si trasferiscono nella zona di Poggioreale nella sede ancora oggi attiva in Via Stadera 91.

Attività perpetrata da Imma e Simona Stingo che ci onorano della loro amicizia.

Pensate sono passati più di 300 anni da quando i Giustiniani cominciarono la loro attività.

Pensate al bagaglio di conoscenze accumulate.


ANTICA CERAMICA GIUSTINIANI

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esempio di ceramica della scuola Giustiniani

Al Cerreto Sannita, piccola cittadina in provincia di Benevento, sorse una fabbrica di ceramica che, fin dal Medioevo, diede vita ad una produzione elegante e di straordinaria freschezza nella sua impronta rustica.
E', grazie al ritrovamento di alcune fornaci medioevali a San Lorenzello, piccolo centro vicino Cerreto, che si è potuto datare, con sicurezza, anche la produzione di Cerreto come anteriore al secolo XVI.
Nel 1668 la cittadina fu rasa al suolo dal terremoto, furono distrutte anche le fornaci e quindi andò dispersa anche gran parte della produzione ceramica; le fornaci saranno, poi, ricostruite quando si ricostruirà tutto il paese.
Attratti dal fervore delle opere per la ricostruzione di Cerreto, distrutta dal terremoto del 5 giugno 1688, e allettati anche dall'utilità di essere esentati dalle imposte, come previsto dagli Statuti, diversi artigiani, specie napoletani, si trasferirono, tra fine Seicento e inizi Settecento. Fra questi, diversi ceramisti.
In realtà il nostro feudatario Marzio Carata, anche perché intuiva l'importanza che in quel momento andava assumendo la produzione ceramica da cui avrebbe potuto trarre notevole vantaggio per il suo erario dissestato, favorì il sorgere, nella nuova Cerreto, di numerose botteghe figuline.
La ceramica cerretese ebbe un repertorio caratteristico composto da piatti, mattonelle, vasi da farmacia, zuppiere, formelle figurate, con motivi dominanti come i fiori, gli uccelli, le farfalle, ritratti con spontaneità popolaresca. I colori tipici furono il giallo ed il verde che ben risaltavano su un fondo di smalto bianco non puro, ma grigiastro o azzurrato.
Vasta fu anche la produzione di vasi ricchi di scanalature e motivi ornamentali e delle acquasantiere con putti, colonnine e festoni floreali che incorniciavano le figure sacre. Gli artisti che dettero vita a questa straordinaria produzione furono molti, ma su tutti prevalse il nome dei Giustiniani.
Tra i ceramisti venuti da Napoli: Antonio Giustiniano. Fu chiamato a Cerreto dal suo parente Niccolo Russo che aveva impiantato, insieme al laurentino Antonio Massone, una fornace nella quale lavorava Santi Festa, pure di San Lorenzello.
Figlio di Simone, apparteneva ad una delle antiche dinastie di maiolicari abitanti in via Marinella, ricca di fornaci. Rimasto vedovo, con cinque figli, della laurentina Vittoria Mazzarello, si risposò, il 21 dicembre 1719, con un'altra laurentina: Lucia Di Clemente, commorando a San Lorenzello cum familia et prole.
Aperta bottega abbascio la terra, incrementa la fervida attività, iniziata a Cerreto, lasciando da noi preziose testimonianze; innanzittutto il pannello incastonato nel timpano del portale della Congrega, datato e firmato ANTONIUS GIUSTINIANUS AFFATTO QUESTA DIVOZIONE. A.D. 1727

Seguendo le orme paterne, il vero capostipite della scuola Giustiniani fu il figlio di Antonio, Nicola., detto anche "Belpensiero" per la sua originalità.
Nicola Giustiniani nasce a San Lorenzello, abbascio la terra il 7 gennaio 1732, dai citati Antonio e Lucia Di Clemente e viene battezzato, il giorno dopo, nell'antica chiesa di S.Lorenzo Martire in via Avantisanti. Nicola si dedica, sin da piccolo, all'arte figulina facendosi le ossa nella bottega del padre, del fratello e in quella del Russo in Cerreto.
Di buona razza, ma anche versato, Nicola, acquistata la padronanza della tecnica figulina, parte per Napoli nel febbraio del 1752, prendendo dimora a via Marinella 7, dove diede il via alla famosa “Fabbrica del ponte” che rese nota nell’intera Europa, grazie anche all’appoggio del Re, la manifattura detta appunto “figulina Giustiniani”.
Nicola volle accanto a sé collaboratori eccelsi ed estrosi. La "Manifattura Giustiniani", nella prima fase, produsse soprattutto oggetti decorativi e servizi da tavola.
Quando la direzione passò al figlio Biagio, furono realizzati anche vasi di ispirazione greca e pompeiana, negli anni a venire si aggiungerà, inoltre, la modellazione di statuine e di grandi anfore decorate con uccelli dai vivaci colori.
In un ambiente più vasto, più ricco di promesse, esplode quell'estro che gli menta il soprannome di “belpensiero”, per la sua creatività e ricchezza di idee, operò in contemporanea con altre note dinastie di ceramisti napoletani (Massa, Chianese, Del Vecchio, Grue, Porreca).

Nel momento in cui a Napoli impera il gusto decorativo, suggestionato dalla cultura pittorica prospettica e rovinistica, l'artista vi si inserisce e, secondo la sua originalissima fantasia, rielabora ed arricchisce quegli schemi della vivacità tipica dei colori e dell'impronta rusticana deliziosamente primitiva delle botteghe corretesi e laurentine, perfeziona la tecnica figulina corrente, introducendo i forni del Patt, a muffola.
In particolare, con la manipolazione delle terraglie, l’artista apriva per sé e per gli altri la strada ad una manifattura capace di gareggiare con le preziose porcellane di Capodimonte.
A due anni dalla sua venuta in Napoli, Nicola è già artista affermato: è nata la scuola Giustiniani che produce ceramiche capaci di gareggiare con le porcellane di Capodimonte.
Di questo primo periodo napoletano dell’artista, si ricordano il piatto di maiolica (con veduta di rovine, 1758) conservato nel museo Stiriano di Graz, e il famoso pavimento della cappella di santa Maria dei miracoli nella chiesa di Gesù delle Monache.
Nel 1755 sposa Antonia Lebico da cui ha sette figli.
Nel periodo della maturità, Nicola orienta la sua manifattura verso il gusto classico corrente. Senza mai abbandonare la precedente tradizione settecentesca, in essa si avverte sempre la fresca inflessione di ascendenza laurentina.
Famoso un po’ ovunque, viene anche chiamato ad Ascoli Piceno, nella fabbrica del convento olivetano di Sant’Angelo in Texello, in società con l’abate Malaspina.
Qui Nicola Giustiniani lavora, tra gli anni 1789-92, terminando, poi, i suoi giorni, il 24 maggio 1815 nella casa di via Marinella, capostipite di una famiglia di ceramisti valenti per i quali la ceramica campana si chiamò GIUSTINIANI.
A Cerreto Sannita ancora oggi esiste un Istituto di arte intitolato a Nicola Giustiniani

Alla morte di Nicola, l’attività artistica fu continuata dai Giustiniani nella fabbrica di Via Marinella in Napoli, dove prese definitivamente corpo la figulina Giustiniani.
La fabbrica sarà distrutta da un bombardamento nel corso della seconda guerra mondiale. I prosecutori sono i Giustiniani che si chiamano Geremia, Antonio, Gaetano, Paolo, Biagio, i quali conseguono tutti grandi successi di pubblico e di commercio, come appare ad esempio nella Mostra del 1834, dove furono esposti dei bellissimi pezzi di porcellana opaca trasparente biscuit della fabbrica di Via Marina.
Dopo la morte di Biagio Giustiniani (1838), che aveva prodotto una manifattura di prevalente ispirazione archeologica classica, la lavorazione continuò in varie sedi ad opera di Michele, Pasquale, Salvatore, Antonio.
In particolare, il figlio di Salvatore, Pasquale Giustiniani junior, trasferitosi a Secondigliano di Napoli, in Via Monte Faito n. 5, coinvolse nella lavorazione ceramica l’intero suo nucleo familiare (5 figli, di cui tre maschi – Luigi, Salvatore, Antonio - e due femmine – Maria e Rita). La produzione di ceramiche e porcellane era rigorosamente lavoarata a mano e cotta in forni a legna, la cui gradazione veniva misurata “a occhio”.
Sono evidenti in questo periodo i collegamenti di gusto archeologico classicheggiante (pompeiani) e con le produzione di Cerreto sannita (ceramica cerretana).
Uno dei figli di Pasquale Junione, Luigi Giustiniani, ha continuato fino alla pensione la propria attività ceramica, coinvolgendo, oltre la moglie Carmela Tomasone, diversi suoi figli, in particolare Alessandro, Salvatore e Antonio, nonché figlie, in particolare Gaetana, Annarita.
Le botteghe artigiane sono state successivamente ubicate, per motivi di crisi di affitti, prima in Napoli alla Via Volpicella, poi a Melito, poi a Marigliano.
Al pensionamento di Luigi, l’attività artigiana ed estetica prosegue nella bottega del figlio di Luigi, Alessandro Giustiniani, nei locali siti in Via Masseria Mascia s.n. – 80034 Marigliano (Napoli), telefono e fax 081-8854280; mail: giustiniani55@tin.it.
L’attività produttiva continua con pezzi unici rigorosamente lavorati e dipinti a mano, mentre prosegue la ricerca e la sperimentazione di nuova malte e materiali sia di base che pittorici. Alla produzione si affiaca un’intesa attività formativa per giovani ed hobbisti, accompagnata anche da adeguati sussidi audiovisivi e informatici.

Le maggiori raccolte delle ceramiche di Cerreto si possono ammirare a Benevento, presso il Museo del Sannio, presso il Museo civico di Piedimonte d'Alife, presso il Museo della Floridiana ed in quello artistico- industriale di Napoli. La collezione del Museo del Sannio è sicuramente la più organica.
Ricca di vasellame vario, essa offre un panorama esaustivo della ricca produzione cerretese; di grande spicco sono le numerose "riggiole" esposte, cioè quelle mattonelle, vivamente policrome, usate, all'epoca, per i rivestimenti o per i pavimenti.

LA CERAMICA NAPOLETANA DALLA META’ DEL SETTECENTO
Nei circa cinquant'anni che intercorrono tra la chiusura della Real Fabbrica Ferdinandea e l'Unità d'Italia, Napoli riuscì così a tener viva molto felicemente l'antica tradizione settecentesca, prima con le belle porcellane Poulard Prad dove tra ricche e più ottocentesche dorature ritroviamo i felici soggetti ferdinandei miniati con altrettanta perizia pittorica. Sono le vestiture regionali, le vedute e i decori pompeiani individuati e codificati durante la direzione Venuti che ancora una volta conquistano per la loro "napoletanità" sia i raffinati turisti che la nuova ricca borghesia cittadina. Successivamente al fallimento e alla chiusura della fabbrica di Santa Maria della Vita, questi stessi temi li ritroviamo ancora a lungo, fino a metà '800, dipinti con tecnica sempre più raffinata da quella ristretta cerchia di miniaturisti che ruotava intorno ai laboratori di Raffaele Giovine, Francesco Landolfi, Gennaro Cioffi, Salvatore Mauro, Sebastiano Cipolla, e tanti altri ancora. Parallelamente i lavoranti più specificatamente tecnici imboccavano la strada della lavorazione della terraglia, ora associandosi con i Del Vecchio o i Giustiniani che già da alcuni decenni si dedicavano a questa lavorazione, o aprendo altre fabbriche a carattere più o meno familiare in concorrenza con essi. Una particolare menzione meritano i Migliolo, i Mollica e i Colonnese: i primi associandosi inizialmente ai Giustiniani produssero splendide terraglie decorate nello stile ferdinandeo sia con vedute che con scene popolaresche marcate FMGN (Fabbrica Migliolo Giustiniani Napoli), i Mollica eccelsero principalmente nella lavorazione delle terre cotte a figure rosse o a figure nere alla maniera dei vasi di scavo mentre i Colonnese vanno ricordati più che per il vasellame, per le belle "riggiole" alla napoletana. Ai fini della produzione ceramica napoletana, l'Unità d'Italia viene a chiudere con una data storica un ciclo produttivo che di fatto si era andato lentamente estinguendo a partire dal 1850. Dopo il brillante exploit settecentesco che grazie alle manifatture borboniche aveva posto le nostre porcellane ai più alti livelli artistici permettendo loro di contendere il mercato a quelle di Meissen e di Sèvres, la produzione napoletana aveva potuto affrontare ancora brillantemente la prima metà dell'Ottocento grazie agli artisti e ai tecnici formatisi all'ombra della Real Fabbrica Ferdinandea sotto la guida di Domenico Venuti. Ma via via che a questa prima generazione di operai si erano andate sostituendo le nuove leve, inevitabilmente cominciò a delinearsi una certa "decadenza" caratterizzata da aspetti di provincialismo. Chiusesi per fallimento nel 1848 la fabbrica Giustiniani e poco dopo intorno al 1855 quella dei Del Vecchio, possiamo dire che venne bruscamente interrotta la trasmissione diretta dei mestiere da padre in figlio e benché sul piano tecnico i giovani risultino ancora in grado di lavorare bene, sul piano creativo appaiono fortemente limitati. Ma anche la materia non è più la stessa: la porcellana è del tutto scomparsa dopo gli ultimi prodotti che i Giustiniani, associati ai del Vecchio, avevano sfornato tra il 1830 e il 1840 e anche la "terraglia all'uso inglese', che con tanto successo era entrata nelle case cittadine più agiate, non viene più lavorata. Le varie piccole industrie cittadine lavorano un impasto di terra più simile alla maiolica che presenta pochi problemi di foggiatura e di cottura ma che non si presta più alla esecuzione di servizi di piatti e in genere al funzionale vasellame da tavola che era stato il maggior vanto della produzione locale durante i primi cinquant'anni dell'Ottocento.

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Mattonelle produzione GIUSTINIANI - Napoli '800 - Disposizione quadrata formata da 9 mattoni 20x20cm, marcati sul retro "G"