Nella mitologia greca, eroe guerriero, noto per la forza e il coraggio
e per le sue numerose imprese. Dopo la morte venne accolto dagli dei
nell'Olimpo e sposò Ebe, dea della giovinezza, impersonando
in tal modo il migliore degli esseri umani, in grado di superare ogni
difficoltà grazie alle proprie forze e di sconfiggere persino
la morte e la vecchiaia. Pur essendo nato mortale, fu venerato dai
greci come un dio. Viene in genere rappresentato come un uomo forte
e muscoloso, avvolto in una pelle di leone e armato di clava. Ercole
è il suo nome latino.
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Secondo il mito, Eracle nacque a Tebe, benché le sue vicende
non appartengano in particolare al ciclo tebano. Era figlio di Zeus
e di Alcmena, figlia a sua volta del re di Micene, Elettrione. Alcmena
era la sposa di Anfitrione, principe di Tirinto e generale tebano.
Mentre Anfitrione era impegnato in una spedizione militare, Zeus
ne assunse le sembianze e si unì con Alcmena. Quella stessa
notte Anfitrione fece ritorno al talamo nuziale, e Alcmena concepì
due gemelli: Eracle, figlio di Zeus, e Ificle, figlio di Anfitrione.
Le prove di forza di Eracle ebbero inizio pochi istanti dopo la sua
nascita: era infatti nato da poco quando la sposa di Zeus,
Era, accecata dalla gelosia, decise di uccidere il frutto del tradimento
inviando nella sua culla due grossi serpenti, ma il neonato li strangolò.
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Da ragazzo Eracle uccise un leone con la sola forza delle
mani; in seguito vinse gli abitanti di Orcomeno, liberando Tebe dall'obbligo
di versar loro pesanti tributi: come ricompensa gli venne concessa
la mano della principessa tebana Megara, figlia di Creonte, dalla
quale ebbe tre figli. Era, ancora implacabile nel suo odio verso Eracle,
gli causò un attacco di pazzia durante il quale egli uccise
moglie e figli. A causa dell'orrore e del rimorso per ciò che
aveva fatto, Eracle avrebbe voluto togliersi la vita, ma l'oracolo
di Delfi gli predisse che avrebbe potuto purificarsi diventando il
servitore del cugino Euristeo, re di Micene. Euristeo, spinto da Era,
gli indicò come espiazione il compimento di dodici difficili
imprese.
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La prima impresa fu quella di uccidere il leone di Nemea, un animale
che non poteva essere ferito da alcuna arma: Eracle tramortì
il leone con la sua clava, poi lo strangolò, lo scorticò
e ne indossò la pelle come corazza e il cranio come elmo.
Quindi uccise l'Idra di Lerna, mostro dalle nove teste ognuna delle
quali, se amputata, rinasceva. Per impedire che dal collo mozzo del
mostro venisse rigenerata la testa, Eracle cauterizzò le amputazioni
con una torcia; poiché una delle nove teste era però
immortale, la seppellì sotto una roccia. Immerse infine le
sue frecce nel sangue dell'Idra affinché il suo veleno le rendesse
letali. <\p>
La terza fatica fu la cattura di una cerva dalle corna d'oro e dagli
zoccoli di bronzo, consacrata ad Artemide: per vincerla senza ferirla,
l'eroe la inseguì per un anno intero.
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La quarta fatica consistette nel
catturare con l'astuzia un grosso cinghiale che devastava le pendici
del monte Erimanto.
La quinta fatica lo vide impegnato a pulire in un solo giorno il
sudiciume lasciato in trent'anni da migliaia di capi di bestiame nelle
stalle di Augia: Eracle vi convogliò le acque dei fiumi Alfeo
e Peneo deviandone il corso. Successivamente l'eroe decimò
e mise in fuga un enorme stormo di uccelli mangiatori di uomini, dalle
ali e dagli artigli di bronzo, con cui gli animali uccidevano gli
abitanti che vivevano presso il lago di Stinfalo.
Per compiere la settima fatica, Eracle domò e portò
a Euristeo un toro impazzito che infestava l'isola di Creta.
Dovette poi catturare le quattro giumente di Diomede, re della Tracia,
che si nutrivano di carne umana, uccidendo lo stesso re e conducendo
le bestie a Micene.
Ippolita, regina delle amazzoni, volle aiutare Eracle nella sua nona
fatica, facendogli dono della propria cintura che Euristeo aveva chiesto
per sua figlia; Era però fece credere all'esercito delle amazzoni
che Eracle stesse tentando di rapire la loro regina: aggredito dalla
furia delle guerriere, l'eroe si difese uccidendo Ippolita, credendola
responsabile dell'attacco, e fuggì portando con sé la
cintura.
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Mentre si recava all'isola di Erizia per catturare i buoi del mostro
a tre teste Gerione, sua decima impresa, Eracle pose, in ricordo del
suo passaggio, due grandi rocce, che da allora furono dette "colonne
d'Ercole", sulle due sponde dello stretto che separa il Mediterraneo
dall'oceano Atlantico, l'odierno stretto di Gibilterra, che nell'antichità
segnava i limiti del mondo conosciuto.
Dopo aver portato a Euristeo i buoi di Gerione, Eracle venne incaricato
di cogliere le mele d'oro delle ninfe esperidi: non sapendo dove queste
mele si trovassero, chiese aiuto ad Atlante, padre delle esperidi,
che accettò di aiutarlo se in cambio Eracle avesse retto il
mondo sulle spalle in vece sua, mentre Atlante raccoglieva le mele.
Il vecchio gigante poi non volle riprendere il suo fardello, ma Eracle
glielo restituì con un astuto inganno.
La dodicesima, ultima e più difficile fatica costrinse Eracle
a scendere agli Inferi per portarne fuori Cerbero, il cane a tre teste.
Ade, dio dei morti, diede a Eracle il permesso di prendere la bestia,
a patto di non usare armi; Eracle catturò Cerbero con la forza
e con l'astuzia, lo condusse da Euristeo e poi lo riportò agli
Inferi.
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Secondo il tragediografo ateniese Sofocle, che ne narrò le
vicende nelle Trachinie, Eracle in seguito sposò Deianira,
figlia del re di Calidone, Eneo. Quando il centauro Nesso assalì
Deianira, Eracle lo ferì con una freccia avvelenata con il
sangue dell'Idra. Il centauro morente consigliò Deianira di
raccogliere parte del proprio sangue, convincendola che fosse un potente
filtro d'amore; si trattava in realtà di un veleno. Venuta
a sapere che Eracle si era innamorato della principessa Iole, Deianira
gli inviò una tunica impregnata di quel sangue: quando il suo
sposo la indossò, il dolore causato dal veleno fu talmente
insopportabile che Eracle si uccise su una pira funeraria. Straziata
dal suo errore, anche Deianira si suicidò.
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