Monstrum, era per i latini qualsiasi segno
inviato dagli dei come fenomeno contro natura. La derivazione
dal verbo “moneo”, indicava secondo Cicerone, che il mostro
racchiudeva un significato di avvertimento stravagante.
Nella Chimera è scritta tutta la rappresentazione etrusca della
vicenda umana, sempre in antitesi fra bene e male. Il bronzo
raffigura un animale maschio con nome femminile. Al muso è leone
e alla coda è serpente. Quest’ultimo insidia e molesta, non
visto dal leone, una capra sorgente dalla schiena.
E’ il male che insidia il bene, è la malizia che prevale sull’innocenza.
La chimera esiste nella fantasia e non nella realtà, è il desiderio
che non si avvererà mai.
“ era stirpe divina, non d’omini, lion di testa,
il petto capra, e drago la coda;
e dalla bocca orrende vampate vomitava di foco……” (ILIADE, VI
–223-225)
La Chimera di Arezzo è uno dei bronzi più famosi e belli dell’arte
Etrusca. Il padre era Tifone dalla cento teste di drago, che
osò sfidare Zeus. La madre era Echidna, la nube che precede
l’uragano. Il fantastico animale, il cui fiato appestante rendeva
mortifere le terre che abitava, prende il nome dalla parte centrale
del suo corpo, quella testa di capra che i greci chiamavano
khimera.
Nella mitologia, Iobate re della Licia, incaricò Bellerofonte
sul suo cavallo alato Pegaso, di trovare e distruggere la Chimera
che devastava le terre del suo regno.
L’eroe scovò il mostro e le ficcò nelle fauci spalancate la
sua lancia dalla punta di piombo. L’alito di fuoco fuse immediatamente
il piombo, che calando nel ventre della belva all’istante la
uccise. In quell’ultimo spasmo, prima di spirare, la Chimera
venne immortalata da un’abile artista etrusco.
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