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gli Opliti e la biga

Bassorilievo

copia di un originale greco

79 x 26 cm - spessore 5 cm

72,00 €


english version

Greek warriors "Oplita"

Terracotta Basrelief

copy of an original Greek

31 x 25 inches - thickness 1,9 inches

72,00 €

tax free for Shipment Outside Italy

Prezzi esposti al netto d' I.V.A.

L'Oplita e la tattica oplitica

I guerrieri dilettanti realizzatori della "falange oplitica"

L’oplita fu uno dei primi soldati del mondo antico a combattere in formazione. La nota formazione a “falange” che è diventata sinonimo dell’oplita greco venne in realtà usata per la prima volta dai Sumeri, nel 2500 a.C., ma furono i Greci a renderla famosa. Armato con una spada e una picca di quasi due metri, protetto da un elmetto, un pettorale, una rinforzatura alle gambe, e uno scudo, l’oplita era il bullo più grosso e cattivo di tutto il Mediterraneo.

L’oplita è una versione aggiornata del lanciere standard. Il suo valore difensivo di 3 lo rende un formidabile protettore di città e colonie, che non verranno battute finché non si rende disponibile il picchiere.

Uno dei più consolidati luoghi comuni della storia militare è che l'oplita greco fosse più addestrato e disciplinato del suo avversario persiano.
In realtà l'oplita nasce tra la fine del secolo VIII e l'inizio del VII proprio per l'esigenza opposta: l'impossibilità materiale -- o l'indisponibilità -- del piccolo proprietario terriero greco di addestrarsi al servizio militare con continuità.
Un rifiuto profondo, sottolineato da una reiterata e insistita convinzione dell'inutilità e della nocività dell'addestramento. Pericle, ad esempio, rimprovera gli spartani (che lo praticavano con costanza) di dedicarvi troppo tempo.
L'oplita è il miglior soldato che il cittadino greco potesse essere, un eccezionale esempio di economia di sforzi, non un brillante modello di organizzazione militare: per fare un oplita servono soprattutto molto denaro per l'equipaggiamento e forza bruta per sostenerne il peso (dai 15 ai 20 kilogrammi), mentre si possono minimizzare la necessità dell'addestramento, dell'organizzazione e del coraggio personale.
Era assolutamente indispensabile, però, una dote in più, che al cittadino greco non mancava: il legame e la fiducia tra commilitoni.
E' l'unità organica della falange, che tiene assieme vecchi e giovani, più e meno ricchi, una unità di parenti, di sodali, di amici, quando non di amanti, con la sua intrinseca qualità egualitaria, a dare ai liberi greci la motivazione necessaria ad affrontare la terribile esperienza della guerra. Consapevoli che tutto il loro mondo è lì in quel momento e condivide lo stesso destino.
Una solidità che era contemporaneamente la forza e l'intrinseca debolezza della falange, quando gli avversari erano in grado di trasformarla in rigidità.
Mosso dalla necessità di difendersi, il cittadino greco dedica ad essa soprattutto risorse materiali, dotandosi in primo luogo di una panoplia difensiva completa e costosissima, che aveva come elemento principale l'Oplon, un ampio scudo circolare, sempre riccamente decorato e personalizzato.
L'Oplon, da cui il nome oplita, non è uno scudo particolarmente razionale: uno scudo di forma allungata, ovale o rettangolare, segue meglio la forma del corpo umano e sfrutta con maggiore efficacia il peso del materiale, al costo, però, soprattutto di un maggiore addestramento, perché deve essere obbligatoriamente usato in verticale
Uno scudo circolare è molto più facile da usare e l'Oplon, con il suo metro circa di diametro, da un lato copriva più della metà del corpo umano, e dall'altro delimitava lo spazio che l'oplita doveva occupare sul campo di battaglia: teneva, insomma, automaticamente le distanze a destra e a sinistra, dando un preciso punto di riferimento per l'allineamento delle righe.
Tenendo gli Oplon sovrapposti l'uno all'altro, l'oplita poteva anche garantirsi una discreta protezione del proprio fianco destro, mantenendosi al riparo dello scudo impugnato dal commilitone immediatamente su quel fianco.
Come descrive accuratamente Tucidide narrando la battaglia di Mantineia del 418, questo generava una spontanea traslazione della falange verso destra durante le marce: cercando di coprirsi il più possibile sulla destra ci si avvicinava al compagno su quel lato, serrando a destra ma contemporanemente spingendolo ancora po' più a destra e allargando lo spazio sulla sinistra: ne seguiva una reazione a catena che faceva procedere tutta la formazione in diagonale.
Questo movimento provocava il reciproco sopravanzarsi delle ali destre su quelle sinistre, che rischiavano di trovarsi circondate dall'avversario: non un piano preordinato, ma un avvenimento casuale che poteva essere adeguatamente sfruttato solo perché il comandante in capo si posizionava proprio all'estremità destra dello schieramento.
Grazie alla sua autorità ed esperienza, gli opliti che non trovavano avversari di fronte a loro, manovravano chiudendo verso il nemico con la sufficiente coerenza e solidità.
In effetti, l'unica necessità sul campo di battaglia della falange oplitica era la coesione: l'uomo che abbandonava i suoi ranghi per fuggire era dannoso quanto quello che, spinto da individualismo, cercava gloria personale.
Il muro di scudi doveva rimanere compatto, a costo di marciare più lentamente, come ad esempio preferivano fare gli spartani.
Era la compattezza dello sforzo a garantire la sinergia che poteva valere la vittoria e ogni perdita di coesione rischiava di sgretolare la falange sia fisicamente che moralmente.
Bastava anche una lieve sconnessione del terreno, o una pianura troppo ampia che lasciava i fianchi scoperti, per rendere irrimediabilmente vulnerabile la falange.
Un problema di equilibrio che incontrava il suo culmine durante l'attacco. L'esigenza psicologica di andare incontro al nemico per "farla finita e tornarsene a casa" si scontrava con la necessità di mantenere la freddezza e l'ordine.
Il successo di un attacco dipendeva da fattori in potenziale conflitto: con l'impeto giusto si poteva sferrare un colpo di lancia potentissimo, ma troppo impeto poteva far rimanere infilzati nelle lance degli avversari; con la velocità si acquisiva potenza, ma ci si distanziava contemporaneamente dai ranghi di supporto, col rischio di rimbalzare letteralmente contro una più lenta ma anche più compatta massa avversaria.
L'indisciplina delle falangi oplitiche, la loro ansia di concludere nel più breve tempo possibile l'esperienza della battaglia, rendeva difficile il raggiungimento di questo già precario equilibrio e fu all'origine di più di una sconfitta.
La lancia costituiva l'armamento principale dell'oplita. E' un arma che non richiede addestramento particolare per essere usata, non ha una scherma ricca, né sarebbe possibile per l'oplita esercitarla, incapacitato nei movimenti dalla compattezza della falange.
Un potente colpo sottomano poteva essere vibrato al momento dell'impatto, diretto al ventre dell'avversario, evenualmente lasciato esposto dalla protezione degli scudi in una falange disordinata.
Quando le due falangi arrivavano a contatto di scudo, prevaleva l'azione di spinta tesa a far indietreggiare e alla fine rovesciare gli avversari: qui la coesione della falange era di vitale importanza, vuoi per esercitare la spinta più costante e potente, vuoi per tenere duro in caso di cedimento.
In queste mischie, chi aveva abbastanza mobilità e sostegno dai ranghi posteriori, usava la lancia sopramano, ferendo l'avversario nella parte superiore del corpo con colpi dall'alto verso il basso: azione di spinta e delle lance si sommavano, anche questa volta in un equilibrio precario e fragile.
Nel combattimento tra masse, i colpi venivano menati letteralmente alla cieca e per questo la cecità non veniva considerata un'infermità tale da giustificare il sottrarsi al proprio dovere di cittadini. Erodoto elogia il cieco Eurito che alle Termopili si fece accompagnare in battaglia da un servitore, mentre gli spartani giudicarono codardo Aristodemo, cieco a sua volta, che a motivo della sua infermità si sottrasse alla battaglia.
Spesso la lancia si pezzava al primo terribile urto e allora il combattimento poteva trasformarsi in una spasmodica lotta con il pezzo avanzato (che aveva un'apposita punta all'estremità), con la spada oplitca (specialità spartana, questa) o persino a mani nude.
L'oplita era un dilettante in armi, né pretendeva di essere qualcosa di più, anzi, con la solita eccezione degli spartani, diffidava profondamente delle mentalità e delle attitudini guerriere,
Guerrieri sui generis, incapaci di tattiche sofisticate, il frutto peculiare della comunità di cittadini-agricoltori della Grecia antica: non si capirono con i romani -- che disprezzavano il loro amore per gli esercizi ginnici, ritenuti inutili perché fini a se stessi e non indirizzati all'uso delle armi in guerra -- figuriamoci se potevano capirsi coi persiani.