Erma
di DIOGENE
DIOGENE
di Sinope (400-325 a.C. circa)
filosofo
della Manifattura di Signa
da un originale greco
Terracotta patinata
45 x 23 cm
230,00 €
Prezzi esposti al netto d' I.V.A.
english version |
Diogene (400-325
a.C. circa)
philosopher
18 x 9 inches
230,00 euro
|
DIOGENE DI SINOPE |
Accanto alle scuole
filosofiche esistono individui che praticano la filosofia
senza risiedere in luoghi stabili oppure senza raccogliere
intorno a sè gruppi permanenti e discepoli. Un esempio lampante
di questo tipo di filosofo é Diogene di Sinope (400-325 a.C.
circa) che visse ad Atene e divenne ben presto l' esempio
del sapiente cinico , che mira alla completa autosufficienza
( autarkeia ) rispetto ai bisogni indotti dalla vita in società.
Nessuno dei suoi scritti ci é pervenuto, ma intorno alla sua
figura fiorì una vasta letteratura di aneddoti, dalla quale
é possibile inferire i tratti dominanti del suo insegnamento.
Riprendendo la distinzione tra natura ( fusiV ) e leggi o
convenzione ( nomoV ) - distinzione al centro della speculazione
sofistica -, Diogene individua i modelli di vita naturale
nel comportamento degli animali, dei mendicanti e dei bambini.
Con Diogene emerge, forse per la prima volta sullo scenario
greco, l'idea che il bambino rappresenti una natura buona
non ancora corrotta dai bisogni artificiali prodotti dalla
vita associata, in contrapposizione all'ideale corrente (avvalorata
dallo stesso Aristotele) che vedeva nell'uomo maturo l'esemplare
del vero uomo e il bambino come mero "uomo in potenza", privo
di valore in sè. Partendo da questi presupposti, Diogene rifiuta
drasticamente, non senza esibizionismo, le convenzioni e i
tabù sessuali e alimentari (per esempio, cibarsi di carni
non cotte), oltre che i valori correnti come la ricchezza,
il potere, la gloria. Il cinico si addestra a ciò con un duro
esercizio ( askhsiV ) fisico e morale - basti ricordare che
Diogene per dimora aveva una botte - e non attraverso indagini
teoriche, che egli svalutava completamente, sulla scia del
fondatore del cinismo (Antistene). In tal modo, egli mira
a porsi in una situazione al tempo stesso di eccezionalità
e di marginalità rispetto alla vita del cittadino integrato
nella poliV , ma senza pretendere di costruire forme alternative
di organizzazione politica. Il filosofo cinico non é radicato
in una città, anche se vive itinerando per le città, dove
presenta se stesso come modello di vita. La libertà di parola
( parrhsia ), che negli aneddoti sulla sua vita Diogene rivendica
anche di fronte ad Alessandro Magno, é nel parlare francamente
senza timore ai potenti, non nel diritto di esprimersi in
organismi dove si prendono decisioni politiche. Un'ampia sezione
del libro delle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio
é dedicata a Diogene il cinico e alla fama che aleggiava intorno
alla sua enigmatica figura. Essa dà un'idea del modo in cui
era costruita la biografia esemplare di un filosofo destinata
alla lettura da parte di un pubblico che non fosse formato
di soli filosofi. Ingredienti di essa sono, più che dottrine
o ragionamenti articolati, osservazioni di fatti della vita
di Diogene, per esempio l'influenza che i comportamenti degli
animali o dei bambini hanno rispetto alle scelte decisive
della vita, in primo luogo a proposito della necessità di
limitare drasticamente i bisogni. Il modo di vita del cinico,
nel modo di vestire, nel tipo di abitazione e così via. Inoltre,
egli impartisce i suoi insegnamenti, più che attraverso lunghi
discorsi o complicati ragionamenti, mediante battute rapide
e incisive (dette "apoftegmi") o addirittura attraverso i
gesti, come mettendosi a camminare per rispondere a colui
che, come Diodoro Crono, appartenente al filone megarico,
negava la realtà del movimento. Riportiamo qui alcuni passi
sulla vita e sulla filosofia di Diogene : "giunto in Atene
si imbattè in Antistene. Poichè costui, che non voleva accogliere
nessuno come alunno, lo respingeva, egli, assiduamente perseverando,
riuscì a spuntarla. Ed una volta che Antistene allungò il
bastone contro di lui, Diogene gli porse la testa aggiungendo:
"Colpisci pure, chè non troverai un legno così duro che possa
farmi desistere dall'ottenere che tu mi dica qualcosa , come
a me pare che tu debba". Da allora divenne suo uditore, ed
esule qual era si dedicò ad un moderato tenore di vita ( ...
). Una volta vide un topo correre qua e là, senza mèta (non
cercava un luogo per dormire nè aveva paura delle tenebre
nè desiderava alcunché di ciò che si ritiene desiderabile)
e così escogitò il rimedio alle sue difficoltà. Secondo alcuni,
fu il primo a raddoppiare il mantello per la necessità anche
di dormirci dentro, e portava una bisaccia in cui raccoglieva
le cibarie; si serviva indifferentemente di ogni luogo per
ogni uso, per far colazione o per dormirci o per conversare.
E soleva dire che anche gli Ateniesi gli avevano procurato
dove potesse dimorare: indicava il portico di Zeus e la Sala
delle processioni. In un primo tempo si appoggiava al bastone
solo quando era ammalato, ma successivamente lo portava sempre,
non tuttavia in città, ma quando camminava lungo la strada,
insieme con la bisaccia ( ... ). Una volta aveva ordinato
ad un tale di provvedergli una casetta; poichè quello indugiava,
egli si scelse come abitazione una botte, come attesta egli
stesso nelle Epistole . E d'estate si rotolava sulla
sabbia ardente, d'inverno abbracciava le statue coperte di
neve, volendo in ogni modo temprarsi alle difficoltà ( ...
). Una volta vide un fanciullo che beveva nel cavo delle mani
e gettò via dalla bisaccia la ciotola, dicendo: "Un fanciullo
mi ha dato lezione di semplicità". Buttò via anche il catino,
avendo pure visto un fanciullo che, rotto il piatto, pose
le lenticchie nella parte cava di un pezzo di pane. Ecco come
ragionava: "Tutto appartiene agli dei; i sapienti sono amici
degli dei; i beni degli amici sono comuni. Perciò i sapienti
posseggono ogni cosa". Una volta vide una donna che supplicava
gli dei in atteggiamento piuttosto sconveniente e le disse:
"Non pensi, o donna, che il dio può stare dietro di te, poichè
tutto é pieno della sua presenza, e che tu debba vergognarti
di pregarlo scompostamente?" ( ... ). In ogni modo egli era
senza città, senza tetto, bandito dalla patria, mendico, errante,
alla ricerca quotidiana di un tozzo di pane. Era solito dire
di opporre alla fortuna il coraggio, alla convenzione la natura,
alla passione la ragione. Mentre una volta prendeva il sole,
Alessandro Magno sopraggiunto e fattogli ombra disse: "Chiedimi
quel che vuoi". E Diogene, di rimando: "Lasciami il mio sole".
Così rispose ad un tale che sosteneva che non esistesse il
movimento: si alzò e si mise a camminare". Per Diogene il
vero piacere consisteva nell'avere l'anima in allegria e in
pace e che senza di questo nè le ricchezze di Medo nè quelle
di Ciro fossero utili. Il sovrano Alessandro, per farsi gioco
di lui che veniva chiamato il cinico, gli mandò un vassoio
pieno di ossi e lui lo accettò e gli mandò a dire: "Degno
di un cane il cibo, ma non degno di re il regalo". Riferisce
Diogene Laerzio:
Navigando infatti verso
Egina, fu preso dai pirati il cui capo era Scirpalo. Fu portato
a Creta ed ivi esposto alla vendita. E chiedendogli l'araldo
che cosa sapesse fare, Diogene rispose: 'Comandare agli uomini'.
Fu allora che egli additò un tale di Corinto che indossava
una veste pregiata di porpora, il predetto Seniade, e disse:
'Vendimi a quest'uomo: ha bisogno di un padrone'. Seniade,
invero, lo compra e lo porta a Corinto. Qui gli affidò l'educazione
dei figli e l'amministrazione domestica. Diogene curò l'amministrazione
in ogni riguardo, in modo tale che Seniade andava in giro
dicendo: 'Un demone buono è venuto a casa mia'. (...) Il medesimo
Eubulo attesta che Diogene invecchiò presso Seniade e, morto,
fu seppellito dai suoi figli. Chiedendogli al tempo Seniade
come volesse essere seppellito, egli replicò: 'Sulla faccia'.
Domandandogliene quello la ragione, Diogene soggiunse: 'Perché
tra poco quel che è sotto si sarà rivoltato all'insù'. Disse
questa battuta perché ormai i Macedoni dominavano, o da umili
erano diventati potenti.
Tratto dal sito:
http://www.filosofico.net/diogene.html
|
calco realizato da un manufatto della famosa
" MANIFATTURA DI SIGNA "
presente nel catalogo originale numero d'inventario 1000 della tavola LXVIII.
se volete vedere il catalogo originale
cliccate qui CATALOGO ANTICO
La Manifattura di Signa
una delle più interessanti "fornaci" d'Europa - attiva a Signa (Firenze) tra il 1888 e il 1940
|
I fratelli Camillo ed Angelo Bondi, furono i fondatori della Manifattura di Signa.La produzione fu vastissima, le copie di originali antichi "classici" erano innumerevoli, una collezione di calchi di inestimabile valore in buona parte perduti.
Noi siamo riusciti a ricomporre una infinitesima parte di questo patrimonio, per questo ringraziamo i tanti che hanno collaborato! amici, collezionisti e fornaciai !
I fratelli Bondi, di origine Livornese (banchieri in Firenze) operarono in questo settore più per passione che per spirito d'impresa, il loro operato alla luce delle attuali produzioni fittili fu di incredibile livello qualitativo. Famose le loro patine a base di olio di lino, terra di Siena e terra d'ombra, nonchè latte fresco, torlo d'uovo e caffellatte per i pezzi di terra molto chiari.
Le materie prime utilizzate erano principalmente la "melletta d'Arno" (terra di Signa), il caolino Veneto e la terra di Sansepolcro.
|
|